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Pirandello, il sogno e la realtà

Sono adulti con un passato sbagliato e un presente da reclusi. Ma sono liberi grazie alla lettura e al Teatro. Grazie alla scuola.

I detenuti del carcere di Foggia, della casa circondariale dell’ITG Masi, hanno meritato uno dei premi speciali, quello per l’originalità, per una versione drammaticamente realistica di una delle novelle pirandelliane “Canta l’epistola”. L’hanno trasformata con una coraggiosa trasposizione in “Canta Cosimo!”.

La docente referente del progetto Maririta Caserta con i suoi studenti
La docente referente del progetto Maririta Caserta con i suoi studenti

Sono Sandro Antonino, Daniele De Cotiis, Domenico Fanizza, Elio Maccione, Antonio Scelsi, Donato Squicciarino, Michele Testa. La docente referente del progetto è Maririta Caserta, la prima ad esultare alla notizia condivisa poi con l’entusiasmo dei suoi studenti.

La professoressa Maririta Caserta
La professoressa Maririta Caserta

Durante la premiazione del 18 maggio è atteso al Teatro Pirandello un loro video-messaggio.

Hanno abbracciato con entusiasmo la possibilità di lavorare su questa novella, poiché la sensazione della perdita e del misconoscimento rappresenta una forte parte del loro vissuto. L’impostazione drammaturgica, vero ostacolo alla scrittura, è stata agevolata dalla impostazione del brain-storming, che ha facilitato la verbalizzazione di vissuti personali. Ne è venuta fuori una storia che rappresenta molto della loro esperienza, quasi pirandellianamente paradossale nel suo realismo.
L’intervento della docente, alla fine, è stato soprattutto quello di sintetizzare e sfrondare un plot dagli intrecci complicati e drammatici, per restare nelle tre cartelle richieste dal concorso.
I protagonisti sono Cosimo, ragazzo mite e da poco arrivato nella struttura, Nino, Santo e Pinuccio, vecchie volpi della Casa, che prendono un pretesto qualunque, l’inconsueto uso di un prodotto come l’ammorbidente, per sfogare la loro aggressività in un rituale pestaggio sull’ultimo arrivato. Quel profumo forniva a Cosimo un aggancio quasi proustiano con il ricordo del suo ambiente familiare perduto, ai tre l’esile ma forte motivazione di definirlo omosessuale, quindi meritevole di una lezione. Il pestaggio provoca a Cosimo la perdita dell’olfatto, e poi, poco a poco la perdita della memoria. L’invio di un lettore cd, con il disco di una nota canzone di Modugno, è la molla per l’esplosione della fuga nella follia di Cosimo che, perso in una dimensione libera, abbraccia uno dei suoi persecutori, allucinando in lui suo padre.

Per i suoi studenti è la prima esperienza con la scrittura di un testo teatrale?

“Si, con questi studenti è la prima volta”.

Avevate già lavorato su Pirandello e qual è stato il loro coinvolgimento?

“Per mia esperienza, Pirandello è un autore che apre l’orizzonte della cultura a questi soggetti deprivati: per questo, fin dalla prima, faccio leggere “ La patente” e il loro immedesimarsi in Chiarchiaro è conseguenziale, c’è l’etichetta, il margine e l’additamento che conoscono bene”.

Rispetto al contesto in cui vivono i suoi studenti, quali sono gli spunti di riflessione utili che hanno trovato  nella lettura delle novelle?

 “Il concetto della maschera, il fatto che ognuno veda quello che vuole in un altro, l’etichetta che assegniamo e ci assegnano, sono argomenti che catturano anche i meno motivati. E poi la pietà…quella pietà di cui hanno disperatamente bisogno e che vorrebbero, ma non riescono nemmeno a pronunciare”.

Qual è, secondo lei , il ruolo del laboratorio teatrale nella formazione scolastica?

“Faccio teatro da sempre, e a scuola, come in carcere, penso che sia insostituibile per la consapevolezza di sé, per imparare a esprimere emozioni di cui ci si vergogna o si ignorano, per crescere in autostima. Nessuno con cui abbia fatto un’esperienza come questa, dopo, era lo stesso di prima”.

In che modo l’esperienza del Concorso ha assunto per loro un valore?

“Non si può immaginare quanto si siano impegnati malgrado la loro povertà di mezzi e di background: nessuna aspettativa, ma partecipare a qualcosa che non è indirizzata solo al mondo carcerario li ha lanciati nel mondo “di fuori” su una mongolfiera. La loro unica speranza era che diventasse un’opportunità per rappresentarla nel nostro teatro. Loro vogliono solo fare teatro”.

Come i suoi studenti hanno maturato la decisione di adattare la novella alla loro condizione? 

“‘Canta l’epistola’ è forse la mia preferita, e propongo loro solitamente, anche il commento del libretto di Paolo De Benedetti: vedere in Tomasino il ragazzo che diventa un reietto li ha affratellati. Per quanto riguarda trasportare la vicenda alla loro condizione è stato conseguenziale: per loro, e per molto tempo ancora, la vita è solo questa”.

Quante le difficoltà incontrate nella scelta del linguaggio? 

“Nessuna, hanno fatto tutto da soli. Ho solo corretto qualche errore. Volevano essere presenti come sono, per quello che sono”.

Qual è  il valore del Teatro nel reinserimento sociale dei detenuti?

“Non lo so davvero: so che, qui dentro, dà loro forti emozioni, aumenta l’autostima e permette loro di giocare ad essere normali…pirandellianamente. Il dopo non mi è permesso conoscerlo. Il loro fine pena è lontano. Ma, da quando è stata spedita la sceneggiatura, loro sono ad Agrigento! Le mura del carcere hanno una crepa, e da lì arriva la vita “di fuori”, la normalità, l’essere in gara con ragazzini colti e dei licei: una bomba. Forse parlare di riscatto sociale, rappresentato dal premio, non è una definizione lontanissima da quello che sentono. Non so in cosa consista il premio e, quindi, non so se potranno tenerlo, comunque, penso che la scuola cercherà di fare un conferenza stampa in carcere per consegnare loro il riconoscimento. E sarà mia cura, in quel caso, inviarle le foto”.

E noi le aspettiamo.

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