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Saint Germain en Laye tra social e media due corti teatrali

Per la seconda volta partecipa al Concorso “Uno, nessuno e centomila” il Collège Les Hauts Grillet di Saint Germain en Laye. Ha già vinto un premio speciale e ora si cimenta con un testo firmato da dieci ragazzi della troisième, quindi molto giovani, intorno ai 14 anni, guidati anche quest’anno dalla professoressa Maria Grazia Coccia.  Sono tutti provenienti da Paesi diversi, anche non europei. Hanno interpretato appieno il senso del bando, che propone di sviluppare dalla lettura di una novella tematiche anche nuove, con originalità, creatività, con spunti di contemporaneità. Il tema è complesso e i ragazzi lo affrontano con una semplicità sconcertante.

Il presentatore Gabriel Glorioso premia la prof. Maria Grazia Coccia nella precedente edizione del Concorso, quando il Liceo di Sanit Germain ha conquistato il 1° premio
Il presentatore Gabriel Glorioso con la prof. Maria Grazia Coccia nella precedente edizione

Com’è nata l’idea della trasposizione di questa novella? 

L’idea – spiega la porfessoressa Coccia – è nata guardandosi intorno e dentro, proprio come Pirandello induce a fare quando si leggono in modo non superficiale le sue novelle. Il titolo intanto è apparso subito accattivante: “notizie del mondo” fa pensare alle tante storie di gente che si muove in cerca di nuovi spazi per vivere una vita dignitosa e per realizzare i propri sogni, che non hanno confini. La condizione di espatriati, che è tipica dei miei alunni, favorisce in modo naturale una sensibilità particolare per la tematica della ricerca dell’ identità individuale e collettiva.

Il protagonista muore probabilmente per un malore determinato dal suo disagio  interiore. L’uomo ha ceduto alle convenzioni sociali, rifiutando di assecondare la sua omosessualità, ma soprattutto eliminando dalla sua esistenza il suo grande amore. Sembrerebbe già forte questo contenuto, ma nel seguire la traccia della novella “Notizie dal mondo”, la drammaturgia riserva un’altra scelta inquietante. Il protagonista decide di sposare la vedova, di prendere in tutto il posto del suo amante, per poter condividere con lui quel che gli è stato negato in vita: il suo letto, la sua casa, perfino la persona amata.

La maschera può uccidere. Questa è la morale?

Esattamente. Inoltre, il paradosso è che la maschera uccide la vita, ma senza la maschera non si può vivere. Arrendersi alla forma, ovvero soccombere alle convenzioni sociali, è per il protagonista un modo di fuggire una solitudine terribile, edificando dentro di sé, in un posto segreto della sua anima, un monumento all’amore perduto; una piccola follia che rende sopportabile la trappola della vita. Se i ragazzi avessero avuto la possibilità di rappresentare il proprio lavoro, avrebbero proiettato delle immagini emblematiche del mondo attuale, che fanno riflettere sui valori della tolleranza e dell’amore. Questo è l’oggetto della corrispondenza di un’umanità universale, che comprende i vivi e i morti, come nel caso dei due amanti della novella di Pirandello.

Il messaggio, proprio perché lanciato da ragazzi così giovani, è tutt’altro che banale. Hanno le idee chiare sul matrimonio tra persone dello stesso sesso o la drammaturgia è frutto di un dibattito scaturito in classe?

Sono troppo giovani per avere le idee chiare su un argomento così delicato, ma non mi sembra che la presenza nella nostra scuola di qualche caso di bambini con due mamme li destabilizzi. Il dibattito su questo tema in classe è stato molto sereno.

Da Saint Germain hanno partecipato anche otto studenti della première del Lycèe Internationale con “La maschera dimenticata: come Ciccina Cirrinciò si dimenticò di essere lei”. Tanti gli elementi interessanti di questa trasposizione. La mente corre subito su bullismo, cyberbullismo, selfismo compulsivo, body shaming, haters, perfino al revenge porn e all’utilizzo sfrenato dei social per promuoversi o per ferire. La protagonista tenta di aderire ad un’ideale di bellezza, ma il suo passato la riporta alla realtà. A rispondere sono gli stessi autori del testo.

Come vivete il vostro  rapporto con i social? 

Noi ragazzi di 16, 17 e 18 siamo la generazione dei Millenals, la generazione che, se privata di social, anche solo per un giorno, crede di perdersi notizie eclatanti o scoop che riguardano un mondo che sarebbe a noi sconosciuto se non fosse grazie ai social. Senza social forse non riusciremmo neanche ad avere una vita sociale e sono consapevole che è una cosa abbastanza triste da dire, ma trovo che sia la nuda e cruda verità. Abbiamo voglia di uscire? Usiamo i social per metterci d’accordo. Usciamo? Se non documentiamo con un video o una foto per far vedere ai nostri amici virtuali cosa abbiamo fatto, ci sembra di non vivere a fondo la cosa. Sì, ho detto amici virtuali perché in fondo è solo una questione di realtà virtuale con due schermi che separano gli interlocutori. A volte ci piace pensare ad un mondo migliore senza social, solo chiamate e messaggi, niente di più perché sono sicura che se le persone non avessero la possibiltà di nascondersi dietro ad uno schermo, ci sarebbero sicuramente meno discriminazioni e atti di bullismo/cyberbullismo.

Quale lezione pensate di aver tratto, leggendo la novella e poi decidendo di trasformarla?

Leggendo e poi decidendo di trasformare la novella di Pirandello, noi ragazzi abbiamo capito che non è assolutamente necessario portare una maschera, farsi passare per chi non siamo e dare un’immagine sbagliata e diversa di noi. Non vale la pena cercare di essere qualcun altro attraverso i social o nei corridoi della scuola perché dopo un po’ qualcuno verrebbe smascherato e la sua vita cambierebbe per sempre, in negativo. Abbiamo capito che essere se stessi è la miglior soluzione per essere veramente qualcuno, perché di fronte a qualsiasi prova che ci viene messa davanti dalla vita, riusciremo ad affrontarla solamente se siamo noi stessi, senza nessuna maschera che nasconda i nostri veri sentimenti.

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