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La patente, sintesi di ignoranza e superstizione

Discriminazione e ignoranza sono al centro della rappresentazione teatrale dei ragazzi della II classe del Liceo scientifico della Scuola Italia Pietro Della Valle di Teheran, diretta dalla prof. Loredana Di Leone. A mettere in scena una versione molto divertente de “La patente” di Pirandello, col titolo “Alla ricerca della fortuna” sono Leon, nei panni di Chiarchiaro; Aria, il giudice D’Andrea; Artemis, Rosinella; interpretano altri giudici Paniz, Riahn, Nikjan, Sahar, Ayaan, Attila. La rappresentazione ha un ritmo in crescendo: si parte lentamente con Chiarchiaro che attraversa le vie della città per giungere in tribunale, scansato da persone impaurite dalla sua presenza. La famiglia condivide con lui il peso di essere tacciati di essere untori. Il tema della paura del contagio è alquanto sentito, anche adesso.

La D.S. Prof. Loredana Di Leone

Professoressa Leone, come hanno vissuto i ragazzi la pandemia e la diffusione incontrollata di fake news sul contagio e sulla pericolosità dei vaccini?

“Non hanno assunto mai una posizione no vax, anzi hanno fatto del tutto per vaccinarsi. Chi aveva un doppio passaporto l’ha fatto all’estero, chi invece ha potuto farlo in loco ha fatto il Sinovac, che era il vaccino disponibile in Iran. Da questo punto di vista sono stati sempre molto positivi pur di superare le difficoltà. In effetti hanno vissuto malissimo la DAD, la didattica a distanza, d’altronde penso che sia stata molto difficile per tutti”.

Chiarchiaro e la sua famiglia si recano in tribunale scansati dai passanti

La rappresentazione raggiunge il suo culmine dopo le domande incalzanti dei giudici e la volontà di Chiarchiaro di approfittare dell’ignoranza della gente. Anche il pianto della bambina è molto verosimile, interprete un’alunna della scuola materna anche lei coinvolta come altri nella realizzazione del video. L’evento casuale di fenomeni naturali, come il vento impetuoso e un boato spaventano perfino i giudici.

Chiarchiaro prova a convincere i giudici guardandoli negli occhi

– La superstizione nella cultura popolare si fonda sull’irrazionalità. Come hanno affrontato i ragazzi questo tema? 

“Tutto sommato è vero che tutto il mondo è paese, perché anche loro che sono di varie nazionalità mi hanno raccontato delle superstizioni che ci sono nelle rispettive regioni di provenienza e di come si possa credere, talvolta, che qualcuno porti sfortuna. Quindi, questo argomento l’hanno trattato con molto interesse perché è un argomento che tocca comunque tutti tutti gli esseri umani”

Chi ha girato le scene?

“Le scene sono state curate da me, sempre con l’aiuto del nostro esperto di informatica, Sina Fathololoumi, che è stato bravissimo a girare e a realizzare gli effetti speciali. Per i costumi ci siamo rifatti a Totò, con questi occhiali scuri, gli abiti a lutto, per esprimere il disagio della superstizione che ha rovinato la vita di Chiarchiaro e anche di tutta la sua famiglia. Ovviamente mi sono un po’ divertita con i ragazzi a giocare anche con il Covid, che è comunque il nostro male massimo in questo momento, trovando delle similitudini”.

“Per gli effetti speciali – chiarisce Sina Fathololoumi – ho utilizzato l’applicazionne FinalCut e per sistemare la voce Logic. Ho filmato tutto con un IPhone SE. Per il montaggio e per creare il finale ho lavorato da solo”.

Chi ha curato i costumi?

“I ragazzi hanno reperito i costumi autonomamente – dice la professoressa Leone – : ho detto loro di vestirsi di nero, in maniera molto dimessa e li ho visionati prima che girassimo. Insomma, mi hanno capito subito. Del resto insegno in questa classe da tre anni, quindi ci comprendiamo”.

L’intero lavoro, che ha un finale divertente, è molto accurato, nonostante la giovane età dei ragazzi. Hanno un laboratorio di teatro?

“No, non hanno mai fatto un laboratorio di teatro perché purtroppo questo è il terzo anno che c’è la pandemia, quindi per loro non è stato possibile”

Può descriverci brevemente i vantaggi offerti dal frequentare una scuola italiana? Quali invece le difficoltà che lei da dirigente affronta?

“La scuola italiana italiana svolge un doppio programma. Quasi tutte le discipline sono svolte sia in italiano che in inglese, perché la nostra utenza non è solamente di italiani, ma anche di altre persone che scelgono il nostro sistema educativo e che dopo il corso di studi vogliono semmai avere anche la possibilità di poter andare a studiare in Italia. Provengono da altre ambasciate, sono figli di diplomatici o di addetti militari che scelgono che i loro figli frequentino la nostra scuola. Negli ultimi due anni, le difficoltà maggiori sono state legate alla pandemia; ogni volta che rientriamo a scuola facciamo i tamponi e quando ci sono casi positivi sospendiamo l’attività per quell’ordine di scuola: qui abbiamo asilo, elementari, medie e liceo. Dal mese di Febbraio c’è stato un picco dei contagi e siamo stati molto attenti a mantenere il controllo della situazione, con i tamponi e l’isolamento delle classi a rischio. Abbiamo applicato un protocollo molto rigido che ci è stato trasmesso dall’ambasciata italiana e che noi condividiamo con il nostro provveditore, che è un funzionario di ambasciata. In tutto questo tempo abbiamo dovuto semplicemente provare a fare lezione, perché altro non ci è stato consentito, né progetti esterni, né gite. Insomma speriamo tanto che si possa fare qualcosa, prima o poi, e tornare alla normalità”.

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