L’opera teatrale La panchina messa in scena dal Lycée International Honoré de Balzac, sezione internazionale Parigi, è liberamente ispirata alla novella “La rallegrata”.
Nel lavoro si inscena un dialogo tra un anziano e un giovane. In una mattina qualunque di un anno qualunque. Il luogo è un punto di raccolta rifiuti ingombranti di una città non meglio precisata, da sfondo il camion che si occupa dei trasporti.
In un’atmosfera di intimo riconoscimento, i due riescono dapprima a dialogare e infine aiutarsi reciprocamente. Il vecchio dai capelli scuri è ciarliero e chiacchierone, il giovane dai capelli biondi è silenzioso e riservato. Il vecchio invita il giovane ad accettare la vita e a costruirsi la sua catena di “bei ricordi”, lo fa stuzzicando la sua fantasia, raccontando bugie e svelando inganni.
Domina il desiderio dell’uomo di non privarsi delle emozioni buone, quelle che derivano dalle esperienze che arricchiscono la nostra memoria.
Gli autori sono i tre studenti Elisa Gidon, Monti Matteo, Francesca Vigano della classe Première.

Abbiamo incontrato la referente, prof. Silvia Falagiani per farci spiegare meglio da dove prende le mosse il progetto teatrale.
Professoressa, come avete sviluppato teatralmente i dialoghi?
I dialoghi sono piuttosto fitti e intriganti soprattutto perché avvengono tra un giovane spaesato e un vecchio. Da una parte c’è qualcuno che forte della sua esperienza cerca di farsi comprendere, di mettere a disposizione il suo sapere: il proprio punto di vista sulla vita. Questa visone è disincantata e decisamente ironica rispetto alla pesantezza che invece si riscontra dall’altra parte: c’è un giovane spaventato dal futuro, consapevole che sarà difficile procedere lungo il percorso della vita.
In questo rapporto il vecchio svolge una duplice funzione, non solo guida il ragazzo verso qualcosa che non aveva preso in considerazione: una prospettiva di lavoro nuova e attraente, anche se insolita; ma, soprattutto, lo indirizza verso l’acquisizione di una concretezza diversa. In pratica gli permette di vedere il cielo di carta attraverso uno strappo, cioè di vedersi vivere. Questo avviene spesso in Pirandello nelle novelle e nel teatro.
I dialoghi sono costruiti attraverso brevi battute, intersecate a monologhi più sostenuti, in particolare del vecchio, lui ha il potere di raccontare la vita a un giovane ancora inesperto, che nonostante i suoi ventitré anni non riesce ancora a far tesoro dell’esperienza accumulata ed è in attesa che tutto cominci.
Per il vecchio, invece, che ormai ha raggiunto un’età veneranda – l’età in cui potrebbe mettersi a riposo – la vita continua ad essere un gioco a cui attribuire valore. Teatralmente le didascalie, brevi e non così diffuse, dovrebbero servire a far concentrare lo spettatore sulle parole e quindi sulla capacità dialogica degli attori, che non sono ovviamente attori professionisti, ma che cercheranno di rendere queste posizioni sulla vita così antitetiche e inconciliabili, sorprendentemente unite.

–Quale funzione avete attribuito ai dialoghi, affinché sviluppassero le tematiche pirandelliane?
La funzione dei dialoghi per lo sviluppo delle tematiche pirandelliane ha un ruolo essenziale anche se abbiamo prediletto l’aspetto istintivo e lasciato che nascessero in maniera molto spontanea, abbiamo tenuto conto di novelle più note, come “Il treno fischiato” oppure “Così è se vi pare”. Alla fine i dialoghi assumono l’ordito non di una vera e propria trama, ma di un’occasione di riflessione.
C’è molto Pirandello, per esempio, nella mistificazione, in quelle occasioni che uno avrebbe potuto vivere e che invece non coglie la tematica pirandelliana della maschera da indossare; funzioni sociali che sono estremamente costringenti, che portano il ragazzo a disperarsi.
Costretto negli schemi in parte voluti dai genitori e in parte autoinflitti dalla necessità di trovare un ruolo nella società, non riesce a scorgere il potenziale che la vita gli offre.
Inoltre i dialoghi sono costruiti in modo tale da far emergere anche un’altra tematica pirandelliana, non tanto della follia, quanto della fuga: la fuga psicologica rispetto ad una realtà costrittiva; da qui lo sviluppo di paesaggi, di viaggi, di treni, di navi che partono e di luoghi ameni nei quali si potrebbe approdare, non solo con la mente, ma anche fisicamente.
C’è, soprattutto, la funzione del caso e quindi di ciò che rivela.
C’è la tematica della bugia, di ciò che uno racconta a se stesso raccontando agli altri.
Il vecchio è ben consapevole di questo suo ruolo, quindi, il dialogo serve a coinvolgere lo spettatore e farlo immergere in questa dimensione pirandelliana: il gioco sulla parola, sospesa tra l’immaginazione e la realtà, tra il sogno e la consapevolezza.
La parola è un tramite tra questi mondi immaginati o immaginabili che l’ottusità giovanile del ragazzo non riesce ancora a intravedere.
C’è poi la tematica del ricordo che è estremamente importante, soprattutto alla fine della vita: la memoria può essere funzionale nella rielaborazione del proprio vissuto e nella costruzione di un piccolo spazio di futuro che resta da costruire.
Quale valore hanno dato gli studenti a questa esperienza?
I ragazzi sulle prime hanno vissuto la sfida della scrittura di una commedia come una sorta di compito scolastico, assegnato da una professoressa un po’ estroversa impone a dei giovani studenti che conoscevano per il primo anno della sua carriera. Quindi, inizialmente ho lasciato loro un certo spazio nella ricerca delle tematiche da scrivere e approfondire. Sono venuti fuori argomenti molto interessanti soprattutto legati alla famiglia, al dialogo tra le generazioni.
Un argomento molto attuale e a cui forse noi adulti non diamo abbastanza valore. In un secondo momento, la questione della commedia è diventata un po’ più pressante e, quindi, si sono messi in gioco in maniera più attiva, cercando di recuperare tematiche pirandelliane note, ma mantenendo uno sguardo un po’ naif, senza approfondirle veramente.
L’operazione successiva, invece, è stata quella di costruire una commedia attualizzandola, e cercando di dare alle parole e alle tematiche quella funzione di ironia, di esattezza.
Un esempio? La descrizione dell’ufficio dell’avvocatura, nella descrizione di certi paesaggi, ma anche nel colpo di scena finale che dovrebbe cogliere un po’ tutti di sorpresa, come spesso accade nelle novelle pirandelliane.
In particolar modo sto pensando a “La rallegrata” che è la novella scelta.
Nella novella ci sono due animali parlanti: il cavallo giovane è baldanzoso, qui per contrapposizione, in senso opposto, è un giovane depresso che non riesce a trovare il suo spazio; il vecchio, che nella novella è un vecchio saggio, consapevole della vita, in questo caso è venato di ironia, di quell’umorismo così caro a Pirandello.
I ragazzi hanno tentato di costruire un dialogo il più possibile fedele anche all’idea originaria, partendo dal consiglio di una fuga perpetua che però non può essere realizzabile nella realtà. Quindi, ci voleva una contro-scrittura che equilibrasse quest’iniziale desiderio.
Quale è stata la funzione dell’insegnate in questo caso?
La funzione dell’insegnante è stata forse quella di ridimensionare questa loro corsa verso l’ignoto per dare alla commedia il senso che aveva sin dall’inizio, cioè di far scoprire al ragazzo, e quindi ai ragazzi, un punto di vista completamente diverso sulla vita.
Perché avete scelto questa novella?
“La rallegrata” permetteva di sviluppare il dialogo tra due generazioni in un contesto un po’ assurdo. L’incontro tra i due avviene in una zona periferica di una qualsiasi città, addirittura in un punto raccolta rifiuti ingombranti. La novella ha questa sua specialità, per questo suo sguardo così diverso anche sulla morte, lo vediamo emerge con il tentativo di recuperare oggetti che talvolta hanno un valore importante anche per Pirandello – si pensi al berretto a sonagli, per esempio o alla patente – oggetti di rifiuto, oggetti scartati che però assumono invece, in questo caso, il valore di un ritrovamento e di una ricostruzione del proprio passato con una funzione cognitiva: oggetti da riconoscere e di cui riappropriarsi nel modo forse più giocoso e divertente.
Una sorta di caccia al tesoro al contrario: il tesoro è la ricerca stessa, il gioco nel quale i due protagonisti saranno coinvolti nella commedia futura, quella che deve ancora essere scritta e che deve svolgersi. Il ragazzo accetta, parteciperà al suo gioco, ritrovando in questa sua apparente debolezza, anche con un lavoro precario, il gusto della scoperta, il gusto dell’avventura, il gusto della dignità del lavoro, qualsiasi esso sia.